febbrilmente sfoglio il mio catalogo sul surrealismo, comprato nel mio giorno di solitudine tanto adorato ed adornato di comportamenti stereotipati al punto tale da sembrarmi partecipe di qualche strano rito a monaco di baviera. cerco delle parole per descrivere il mio stato d'animo impazzito, e tocco le immagini, nella speranza che mi piova sulla testa qualche cosa di concreto in mezzo a così tanto astratto; improvvisamente mi ricordo che Sartre mi aveva suggerito di non ricercare le parole, di non cercare vocaboli nascosti tra fascicoli inaccessibili, di non prenderli con i guanti bianchi. Ha ragione.
le parole vanno stuprate. se devono rappresentarci allora devono adeguarsi a noi. e noi non siamo buoni.
ancora sfoglio ma non mi viene in mente nulla che si discosti dal "inutilità" e "odio senza confini". forse devo smetterla di cercarmi umanista? sarò misogina? la cosa non mi preoccupa. vorrei e dovrei seriamente fare l'eremita.
lo sfogliare mi porta a due pagine contigue, dove vengo catturata da due figure: una nota statua di Dalì che mi ricorda quanto schifo più fare una cosa che ti aspetti stupenda, e l'altra su una statua di Jean che rappresenta una testa nera con al posto delle palpebre due zip e al collo un nastro grazioso di negativi. e questa, maledettamente, mi ricorda i negativi del mio ultimo rullino, completamente bianchi. E poi il tripudio per le mie frementi mani: Duchamp. lui sa distaccare i miei pensieri da quella sorta di sostanza amorfa e gelatinosa che è l'esistenza. l'esistenza delle cose che tocchi, che si muovono nelle tue mani. lui la abbandona. e mi porta via con lui. quando usciamo sbattiamo anche la porta; dio che fracasso...
niente, altre parole non me ne vengono in mente. penso solo al modo in cui mi lasci ogni volta, e suppongo, anzi, SONO CERTA che tu lo faccia apposta, certo, dall'alto del tuo trono di sterco, che supponi di essere divertente e galante allo stesso tempo. ma è proprio vero che più fai del male e più vieni visto come una sorta di idolo per gli idioti. e io sono infinitamente idiota e piccola. deduzione rapida: venero quel trono di merda. sinceramente sto ancora tentando di definire le grandezze del trono e di paragonarle a te: a occhio e croce la tua figura è più imponente di ciò su cui ti siedi.
io ripeto: devo andare in un eremo e starci. non prego nessuno, prego solo me stessa di non incontrare quella che per sbaglio e per questione di routine viene chiamata società.
se vivessi in un'opera di Mozart non sarebbe tutto più semplice? Se fossi Costanza? o se tu avessi un briciolo dello charme che aveva Mozart? domande cosiddette filosofiche: non hanno risposta. o meglio, preferisco non dare una risposta a queste domande.
tutto questo ricercare mi fa spuntare un incredibile cefalea nevralgica al centro della mia fronte corrucciata. soffermarsi su quadri di metamorfosi mi rende così prevedibile e riciclata: ma adoro questi passaggi di stato, dove per un attimo l'esistenza delle cose, le cose che si toccano, viene messa in un angolo con una pistola puntata alla fronte e viene obbligata a fare le peggio cose. Vedere posti in nomi, sentire profumi in suoni, palpare costruzioni in azioni...
è arrivare alla frase "Dora Maar's surrealist compositions frequently place enigmatic figures in desolated or disrupted architectural settings" e pensare ancora alle parole che frena il mio entusiasmo. ho bisogno di Parigi, ma a volte mi rendo conto che forse lei non ha così bisogno di me: la penso già intensamente anche quando non sono con lei. magari le basta ciò.
martedì 9 novembre 2010
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento