martedì 9 novembre 2010

Presto

febbrilmente sfoglio il mio catalogo sul surrealismo, comprato nel mio giorno di solitudine tanto adorato ed adornato di comportamenti stereotipati al punto tale da sembrarmi partecipe di qualche strano rito a monaco di baviera. cerco delle parole per descrivere il mio stato d'animo impazzito, e tocco le immagini, nella speranza che mi piova sulla testa qualche cosa di concreto in mezzo a così tanto astratto; improvvisamente mi ricordo che Sartre mi aveva suggerito di non ricercare le parole, di non cercare vocaboli nascosti tra fascicoli inaccessibili, di non prenderli con i guanti bianchi. Ha ragione.
le parole vanno stuprate. se devono rappresentarci allora devono adeguarsi a noi. e noi non siamo buoni.
ancora sfoglio ma non mi viene in mente nulla che si discosti dal "inutilità" e "odio senza confini". forse devo smetterla di cercarmi umanista? sarò misogina? la cosa non mi preoccupa. vorrei e dovrei seriamente fare l'eremita.
lo sfogliare mi porta a due pagine contigue, dove vengo catturata da due figure: una nota statua di Dalì che mi ricorda quanto schifo più fare una cosa che ti aspetti stupenda, e l'altra su una statua di Jean che rappresenta una testa nera con al posto delle palpebre due zip e al collo un nastro grazioso di negativi. e questa, maledettamente, mi ricorda i negativi del mio ultimo rullino, completamente bianchi. E poi il tripudio per le mie frementi mani: Duchamp. lui sa distaccare i miei pensieri da quella sorta di sostanza amorfa e gelatinosa che è l'esistenza. l'esistenza delle cose che tocchi, che si muovono nelle tue mani. lui la abbandona. e mi porta via con lui. quando usciamo sbattiamo anche la porta; dio che fracasso...
niente, altre parole non me ne vengono in mente. penso solo al modo in cui mi lasci ogni volta, e suppongo, anzi, SONO CERTA che tu lo faccia apposta, certo, dall'alto del tuo trono di sterco, che supponi di essere divertente e galante allo stesso tempo. ma è proprio vero che più fai del male e più vieni visto come una sorta di idolo per gli idioti. e io sono infinitamente idiota e piccola. deduzione rapida: venero quel trono di merda. sinceramente sto ancora tentando di definire le grandezze del trono e di paragonarle a te: a occhio e croce la tua figura è più imponente di ciò su cui ti siedi.
io ripeto: devo andare in un eremo e starci. non prego nessuno, prego solo me stessa di non incontrare quella che per sbaglio e per questione di routine viene chiamata società.
se vivessi in un'opera di Mozart non sarebbe tutto più semplice? Se fossi Costanza? o se tu avessi un briciolo dello charme che aveva Mozart? domande cosiddette filosofiche: non hanno risposta. o meglio, preferisco non dare una risposta a queste domande.
tutto questo ricercare mi fa spuntare un incredibile cefalea nevralgica al centro della mia fronte corrucciata. soffermarsi su quadri di metamorfosi mi rende così prevedibile e riciclata: ma adoro questi passaggi di stato, dove per un attimo l'esistenza delle cose, le cose che si toccano, viene messa in un angolo con una pistola puntata alla fronte e viene obbligata a fare le peggio cose. Vedere posti in nomi, sentire profumi in suoni, palpare costruzioni in azioni...
è arrivare alla frase "Dora Maar's surrealist compositions frequently place enigmatic figures in desolated or disrupted architectural settings" e pensare ancora alle parole che frena il mio entusiasmo. ho bisogno di Parigi, ma a volte mi rendo conto che forse lei non ha così bisogno di me: la penso già intensamente anche quando non sono con lei. magari le basta ciò.

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